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Nel nostro campo teatrale e musicale, spesso si sente parlare di “macchietta”, perlopiù associata ad un certo tipo di teatro quello cosiddetto di “varietà”.
Il teatro di varietà, chiamato semplicemente il “varietà”, proponeva in origine una sequenza di numeri vari (prosa comica, musica, danza, ma anche farse ad esempio), senza un vero filo conduttore. Esso nasceva come evoluzione del café-chantant e del burlesque verso gli anni 1950 e iniziò poi ad evolversi nei teatri in modo sempre più autonomo e strutturato.
Personalmente ho ideato uno spettacolo di varietà, Gran Varietà – il peccato erotico-umoristico nella canzone d’epoca, che propone una serie di numeri con un filo conduttore ben definito: il doppio senso e, per la sua realizzazione, propongo una serie di “macchiette” storiche. E cos’è la macchietta? Vi riporto la definizione di Nicola Maldacea che ne fu l’inventore:
«Come un disegnatore, mi ripromettevo di dare al pubblico un'impressione immediata schizzando il tipo, segnandolo rapidamente, rendendone i tratti salienti. Da ciò l'origine della parola macchietta, che è propria dell'arte figurativa: schizzo frettoloso, che renda con poche pennellate un luogo o una persona in modo da darne un'impressione efficace con la massima spontaneità caricaturale.»
Gran parte di coloro che si dedicarono al varietà lavoravano anche in generi in qualche modo collegati, come l’operetta, il balletto, l’avanspettacolo, la prosa ed il cinema. Vi elenco alcuni artisti che ne diventarono l’emblema, raggiungendo la notorietà anche grazie alla televisione. In ordine cronologico:
Raffaele Viviani (attore)
Harry Houdini (mago)
Peppino Villani (finedicitore e trasformista)
Leopoldo Fregoli (trasformista)
Virgilio Riento (macchiettista)
Alfredo Bambi(comico e macchiettista)
Elvira Donnarumma (cantante)
Armando Gill (cantante)
Lina Cavalieri (cantante)
Gennaro Pasquariello (cantautore e attore)
Gilda Mignonette (cantante)
Tecla Scarano (attrice)
Ettore Petrolini (attore, cantante, macchiettista)
Isa Bluette (soubrette)
Angelo Musco (attore comico)
Pupella Maggio (attrice)
Guido De Rege (comico)
Dante Maggio
Beniamino Maggio
Totò
Wanda Osiris (soubrette)
Marisa Maresca (soubrette)
Peppino De Filippo (attore)
Tina Pica (attrice)
Gilberto Govi (attore comico)
Erminio Macario (attore)
Carlo Dapporto (attore)
Nino Taranto (attore e macchiettista)
Isa Barzizza (soubrette)
Anna Campori (attrice)
Paolo Poli (attore)
Ugo Tognazzi (attore)
Raimondo Vianello (attore)
Raffaele Pisu (comico)
Alberto Sordi (attore e macchiettista)
Gino Bramieri (attore)
Renato Rascel (attore)
Franca Valeri (attrice)
Sandra Mondaini (soubrette)
Lauretta Masiero (attrice)
Delia Scala (soubrette)
Antonella Steni (attrice)
Elio Pandolfi (attrice)
Milena Vukotic (attrice)
Paolo Panelli (attore)
Bice Valori (attrice)
Alberto Sorrentino
Vittorio Caprioli (attore)
Fiorenzo Fiorentini (attore)
Johnny Dorelli (cantante, attore,)
Franco Franchi (attore)
Ciccio Ingrassia (attore)
Ric e Gian (attori)
Raffaella Carrà (soubrette)
Lino Toffolo (attore)
Giacomo Rizzo (attore)
Alfonso Tomas (comico)
Lando Buzzanca (attore)
Marisa Laurito (attrice)
Lucia Poli (attrice)
Maurizio Micheli (attore comico)
Margherita Fumero (attrice)
Gennaro Cannavacciuolo (attore) (sono elencato pur’io nell’onomima categoria di wikipedia!!)
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Giovedì 16 aprile 2020 si è spenta Maria Taranto, figlia del grande attore e cantante NINO TARANTO. La signora Maria è stata fonte di ispirazione della celebre canzone “LUSINGAME” scritta da Nino nel lontano 1956 sulla musica del maestro Mario Festa. La canzone fu dedicata da Nino Taranto alla figlia che, proprio in quell’anno, decise di sposarsi, comunicando quindi la notizia al papà che stravedeva per lei e che, pur accogliendo con gioia la sua decisione, soffrì del conseguente distacco. La canzone è classificata tra le più belle dell’epoca, tanto da entrare nel patrimonio mondiale della cultura partenopea.
Queste le parole del figlio, Prof. Francesco De Blasio:
“Mamma non è più con noi. I suoi occhi belli, che ispirarono il suo grande papà per una delle più belle canzoni mai scritte al mondo, si sono chiusi per questa vita terrena e adesso rifulgono della luce del signore. Alleluja”
In occasione dell’allestimento del mio spettacolo “Gran Varietà” a Napoli, ed in parte dedicato al grande Nino Taranto, ebbi il piacere di conoscere la signora Maria. Nello spettacolo avevo per l’appunto inserito LUSINGAME, raccontandone la genesi creativa. Ricorderò sempre la gentilezza e la dolcezza di questa donna, ma soprattutto quel ineguagliabile colore verde dei suoi occhi che ancora dopo tanti anni divenivano lucidi e trasparenti alle sole prime note di quella meravigliosa canzone.
Un abbraccio affettuoso cara Signor Maria.
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Ricevere una diagnosi fatale è cosa durissima, probabilmente angosciante, che sconvolge il nostro essere nel profondo, incidendo sul nostro carattere e le nostre azioni. Ora, l'accettazione dell’ineluttabile è l’assunzione di consapevolezza che uno scopo è stato definitivamente compromesso: c’è chi si dispera e chi, invece, reindirizza le proprie risorse verso altro. Vorrei così spendere alcune parole per Nadia Toffa, brillante giornalista, persona generosa e solare, stroncata troppo giovane da un male incurabile.
“Ho imparato a non odiare il dolore per imparare ad amare la vita”
In questo libro le sue parole dirette, spesso venate di ironia, mai banali, sono rivelatrici di come era lei veramente, del suo immenso amore per la vita: ci arrivano dritte al cuore e ci colpiscono per la loro carica di umanità e la magia che trasmettono.
“I testi qui raccolti li ho avuti in consegna da Nadia. Sono stati scritti nei giorni del silenzio” (Margherita Toffa), la mamma di Nadia.
“Sei stata capace di mettere l’Italia sottosopra unendo il Nord e il Sud…Sei entrata nel cuore di tutti. Hai raccontato le tue fragilità dandoci coraggio. Hai avuto fame e sete di giustizia”. (Don Maurizio Patriciello, simbolo della lotta nella Terra dei fuochi, che ha celebrato i suoi funerali)
Consiglio ed invito tutti ad acquistare questo libro non solo perché ricco di pensieri profondi, ma anche e soprattutto perché I DIRITTI D’AUTORE SARANNO DEVOLUTI ALLA FONDAZIONE NADIA TOFFA PER LA RICERCA E LA CURA DEL CANCRO.
Grazie di cuore cara Nadia.
Gennaro Cannavacciuolo
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Chi non ama gli Stabilo Boss?? Ma, a proposito, sapete cosa sono gli stabilo boss? In Italia si chiamano evidenziatori, ma ovunque nel mondo vengono definiti con il loro marchio: Stabilo Boss, per l’appunto.
Gialli, rosa, blu, verdi, arancioni, celeste, viola… indispensabili compagni di studio, mi danno sicurezza aiutandomi a memorizzare le parti.
Ma soprattutto mi fanno sentire un ETERNO RAGAZZO . Non appena tolgo l’amato cappuccio nero – tirandolo con una leggera rotazione -, sentire quel “clic” inconfondibile ed eccomi ripiombato ai tempi degli esami… una sottile emozione, una familiarità, un’intima soddisfazione di sentire confortevolmente “a casa”, in condizioni ottimali per studiare, pieno di quell'entusiasmo speransoso tipico della giovinezza.
Pensate che la fabbrica è stata fondata a Norimberga da Georg Conrad Großberger et Hermann Christian Kurz ben nel 1855, anche se gli “evidenziatori” sono stati immessi sul mercato nel 1971 per per poi essere perfezionati, diventare fluo ed essere lanciati nel 1978: un boom! In meno di 15 anni, sono più di 500 milioni i pezzi venduti! Nel 1998 siamo a un miliardo di pezzi venduti mentre la quinta generazione subentra nella società prendendone le redini.
Sono state poi realizzate alcune linee aggiuntive, quali la Stabilo Easy Original per coloro che imparano a scrivere, così come la Stabilo Néon, destinata ad un pubblico femminile od ancora Easy Birdy, con impugnatura ergonomica, per i bambini.
Un gruppo tedesco, di proprietà privata, che fattura più di 180 milioni, con oltre 1500 dipendenti.
Avrete probabilmente che il logo è rappresentato da un cigno, da sempre simbolo dell’azienda. Esso rimanda al nome della famiglia Schwanhäusser (Schwan significa cigno in tedesco), ma rappresenta anche l’innocenza, la purezza, la saggezza e la bellezza.
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Chiamatelo papillon, farfalla, cravatta a farfalla, farfallino, non importa. L’importante è che faccia parte del Vostro guardaroba!
Si tratta secondo me di un accessorio irrinunciabile, di cui le origini sembrano risalire addirittura all’antico Egitto anche se la teoria maggiormente accreditata lo fa risalire al XVII° secolo. Durante la guerra dei Trent’anni, sembra che i mercenari croati usassero una sciarpa legata al collo per tenere la camicia. Il fiocco prese così piede nella moda maschile francese con la denominazione iniziale di cravatte (da “croato”) per poi essere finalmente chiamato papillon (ovvero farfalla) per via della sua forma. Il suo utilizzo si estese in tutta Europa, tant’è che a partire da fine ‘900, diventa imprescindibile dal guardaroba maschile ed abbinato per eccellenza allo smoking da Pierre Lorillard viene consacrato come il must dell’abbigliamento elegante e formale.
C’è poi chi lo trasforma in un accessorio ironico, utilizzandolo per look più casual, se non addirittura eccentrici (con una giacca sportiva, un maglione o sul costume da bagno!).
Utilizzatissimo in ambito politico (si pensi ad Abraham Lincoln, Franklin Roosevelt e Winston Churchill) è anche molto apprezzato nell’ambito dello spettacolo: da Charlie Chaplin a Fred Astaire, ma anche Frank Sinatra, Johnny Depp e… Gennaro Cannavacciuolo! J
Attenzione: un vero gentiluomo non adopera papillon preconfezionati e già annodati in quanto poco si addicono ai look più ricercati, ma effettua egli stesso l’operazione di annodatura. L’importante è che le estremità del papillon non superino mai in altezza le punte del colletto della camicia ed in larghezza le linee laterali del viso, alfine di mantenere le proporzioni corrette.
A bon entendeur…
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Alzi la mano chi non rimane affascinato dinnanzi ad una foto o filmato ritraente il celeberrimo Zeppelin?
Un veicolo unico nella Storia, intrigante per la sua tipologia e l’impatto che ebbe in un inizio Novecento alla rincorsa continua di novità e progressi tecnologici.
Forse non tutti sanno che la nascita dello Zeppelin fu molto difficile e resa possibile grazie alla tenacità del famoso Graf Von Zeppelin (conte Zeppelin) che ne diede i natali, finanziandone di tasca propria la realizzazione, la quale iniziò nel 1885 con il deposito del primo brevetto. Il conte Von Zeppelin produce il primo dirigibile nel 1899 in un hangar sul bordo del lago di Costanza, a Friedrichshafen: un punto strategico per facilitarne il decollo, fronte vento.
Purtroppo, il primo velivolo, lungo 128 metri, vola solo 18 minuti ed accusa problemi tecnici.
Occorrono 8 anni al conte per trovare altre risorse finanziare ed effettuare innovazioni tecnologiche: nel 1908 il Zeppelin LZ3 vola più di 45 volte, per un totale di oltre 4.000 km. L’aeronautica tedesca si interessa allora al progetto soprattutto a fini militari e arrivati nel 1914, sono già 21 gli Zeppelin prodotti, sia per fini militari che di trasporto, superando 200.000 km totali di navigazione con il trasporto di 40.000 passeggeri.
Ma ecco che scoppia la prima guerra mondiale e gli Zeppelin sono prodotti ed utilizzati come bombardieri nonché esploratori dei movimenti delle navi nemiche. Anche se i caccia si rivelano ben più potenti, rapidi e facilmente manovrabili rispetto ai grossi Zeppelin, questi tuttavia riescono a fuggire al tiro nemico innalzandosi oltre 7500 metri e per lunghe trasvolate, rendendoli quindi strumento interessante per spostamenti di uomini e bombe su lunghi raggi e per bombardamenti.
E’ la firma del Trattato di Versailles ad impedire l’uso militare degli Zeppelin la cui produzione continua dopo la prima guerra mondiale con lo scopo di trasporto passeggeri, anche grazie ad una commessa importante dagli Stati Uniti. E’ così che il 12 ottobre 1924, il primo Zeppelin parte alla volta degli Stati Uniti dove atterra dopo 81 ore e 8050km, in un viaggio senza alcun intoppo. Una folla indescrivibile è presente all’atterraggio. Si entra così nel periodo d’oro dell’epopea dei dirigibili diventati veicoli di trasporto passeggeri ambito dai più abbienti. Nel 1929 addirittura, lo Zeppelin LZ 127 fa il giro completo del globo: Lakehusrt, Friedrichshafen, Tokyo, Los Angeles e ritorno a Lakehurst: 21 giorni di viaggio, 49.600 km!
Mezzo di trasporto di lusso, le rotte diventarono standard: tra l’Europa e l’America del Nord ed il Brasile (4 giorni di viaggio) ed in Europa stessa. I prezzi di allora per un viaggio intercontinentale corrispondevano a circa 40.000 euro di oggi…
Gli Zeppelin erano dotati di comode cabine, letto e doccia, di una sala da pranzo con le miglior prelibatezze (vedi foto menù) in vasellame di porcellana, sala lettura, vetrate panoramiche.
Sono stupende le locandine pubblicitarie dell’epoca: Berlino-Friedrichsafen 7 ore, 400 marchi, con cabina privata, partenza ogni giorno ore 10h.
Erano poi anche molto ambite le cene d’affari (“reception dinner”) organizzate a bordo sopra i cieli di New York ad esempio (vedi foto sotto), riservate ad un pubblico selezionatissimo, altamente pagante, dove l’alta borghesia concludeva affari.
Insomma, un mezzo di trasporto comodo, dove l’alta società godeva di vari comforts in un quadro di stile ahimè oggi scomparso, quello tipico della Belle Epoque.
Purtroppo, come molti di voi sapranno, l’epopea dello Zeppelin terminò dopo l’incendio del 6 maggio 1937, quanto, in pochi instanti, lo Zeppelin LZ 129 Hindenburg prese fuoco. Un incendio sulle cui cause ci furono molte speculazioni, anche se una delle teorie più accreditate riguarda l’infiammabilità della vernice esterne, e dove perirono 36 persone.
Per chi ne avesse l’occasione consiglio di visitare i due musei dedicati allo Zeppelin: quello più importante ed “ufficiale”, ubicato proprio a Friedrichhafen e quello di Meersburg, creato da un privato appassionato di Zeppelin, il quale passò decenni a raccogliere informazioni, testimonianze e oggettistica varia.
In ambedue i casi, potrete godervi un bellissimo viaggio nel tempo di un’epoca un po’ magica, quella della grande Speranza e Fiducia verso la vita e gli uomini, la scienza ed il futuro, che animava milioni di persone, desiderose di migliorare la propria esistenza sognando con lo sguardo svolto al cielo.
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Budapest, 5 novembre 1983: 7 capolavori spariscono dal museo delle Belle Arti. Un furto d’arte compiuto 35 anni fa, che fece grande scalpore mediatico e mobilitò forze di polizie, investigatori, servizi segreti e deviati di varie nazioni. Mentre gli autori furono arrestati e condannati con una rapidità senza precedenti, i mandanti rimangono tuttora ignoti ed ancora oggi c’è chi ha paura di parlare…
Sono tanti i pezzi di questo grande ed intricato puzzle, che faticano ad incastrarsi, come intrappolati in una rete complessa di enormi interessi dove emergono figure legate alla criminalità, all’intelligence, alla politica….
Un fatto di cronaca vera, che sembra tuttavia sfidare le trame mozzafiato dei più grandi romanzi gialli.
Operazione Budapest è un magnifico docu-thriller che ho avuto il piacere di vedere la scorsa settimana in anteprima nazionale, al cinema Aquila di Roma. Prodotto da GiKa Productions, diretto da Gilberto Martinelli e montato da Anna Nagy - la quale ha collaborato alle ricerche storiche nonché alla sceneggiatura-, l’opera è degna di essere vista, commentata e promossa.
Aldilà dell’interesse storico in sé, l’approccio e ritmo narrativo scelti dal regista colpiscono nel segno. 50 minuti che scorrono veloci, dove gli elementi si sovrappongono gli uni su gli altri, presi da varie angolazioni così che lo spettatore crede di avvicinarsi sempre più alla soluzione: ma non appena arriva il finale, ti accorgi che il disegno rimane indecifrabile o, meglio, decifrabile in modo plurimo, sicché la soluzione univoca viene a mancare… Hai tutti i pezzi del puzzle, ma il disegno svanisce.
Il montaggio poi è eccellente e conferisce il giusto rilievo ad ogni sequenza, alternando con grande sensibilità i vari toni e tipologie del discorso, restituendo alla narrazione leggerezza, alternanza di sensazioni e nel contempo voglia di arrivare in fondo al discorso, in armonia con la bella colonna sonora di Andrea Ridolfi.
Insomma, un ottimo prodotto, curato nei minimi particolari, frutto di un’intensa ricerca storica, che ha positivamente colpito tutta l’audience della prima e che spero possa essere distribuito come merita, mentre ritengo possa fungere anche da ottimo spunto per la stesura di un vero proprio film già scritto dagli autori.